I sacerdoti svolgono compiti pastorali, ma sono sempre più spesso anche il primo riferimento per chi ha bisogno di aiuto e assistenza
I sacerdoti che nel 2023 hanno prestato il proprio servizio nelle Diocesi italiane sono stati quasi 29 mila, compresi 313 sacerdoti diocesani "Fidei Donum", cioé che operano come missionari nei Paesi poveri del mondo, e poco meno di 2.600 sacerdoti anziani o malati che si trovano in regime di previdenza integrativa. Quotidianamente, i sacerdoti svolgono i propri compiti pastorali (in primis, la diffusione dell’annuncio del Vangelo e la celebrazione dei sacramenti), ma sono anche in maniera sempre più significativa e fondamentale al fianco di chi ha bisogno – indipendentemente dal “credo” – portando carità, conforto e speranza. Educano i ragazzi, offrono assistenza spirituale e concreta alle famiglie in difficoltà, agli ammalati, agli anziani soli, ai poveri e agli emarginati.
Al loro sostentamento – che va da una remunerazione minima di poco più di 900 euro netti al mese, per un sacerdote appena ordinato, fino a circa 1.800 euro netti per un Vescovo ai limiti della pensione – provvede l’Istituto Centrale per il Sostentamento del Clero (ICSC) attraverso le risorse messe a disposizione dagli Istituti Diocesani per il Sostentamento del Clero (per il 5,9%) e in parte (91% pari a 403 milioni di euro) attraverso i fondi dell’8xmille.
A queste risorse si aggiunge una quota minoritaria ma significativa (circa 8,4 milioni, pari all'1,9%) di erogazioni liberali deducibili. La destinazione determinante dell’8xmille al sostentamento dei sacerdoti e la gestione complessiva del sovvenire da parte dell’ICSC consente di attuare il principio guida della perequazione, cioè il meccanismo che garantisce uguaglianza di trattamento: ogni sacerdote riceve la stessa remunerazione a parità di servizio, senza distinzioni che avvantaggino – per esempio – chi opera in parrocchie “ricche” e popolose rispetto a chi opera in piccole parrocchie in aree a bassa densità di popolazione, o in contesti sociali di frontiera.
Al mattino presto, uscendo dalla canonica, don Ciro trova già le auto in fila per il traffico e con ciascuno dei conducenti non manca un saluto, uno scambio di battute, una parola su quel parente malato o sulla partita del Napoli, la sera prima. La chiacchierata continua al bar di fronte, dove si prende un caffè veloce, ma mai di fretta.
Anche nella frenesia, infatti, da queste parti il tempo per guardarsi negli occhi, per stringersi la mano, per abbracciarsi, non deve mancare mai. Ci si abbraccia anche se ci si è visti il giorno prima, non importa. Don Ciro Tufo, parroco della parrocchia di San Giacomo a Calvizzano, 13mila anime nell’hinterland napoletano, lo sa bene e non delude mai le attese di nessuno. «Quando non sto con la gente ho paura di non aver vissuto il tempo opportuno, di non aver colto quello che San Paolo chiamerebbe kairòs», racconta. Il tempo opportuno è anche quello che ha segnato la sua vocazione, una vocazione adulta. «Sono stato farmacista», racconta, «e ho insegnato chimica a scuola, facendo una vita bella, che mi piaceva. Per ben undici anni sono stato anche fidanzato e stavo per sposarmi, ma in fondo al cuore sentivo una chiamata diversa: solo quando ho trovato il coraggio di seguirla sono stato pienamente felice. Sì, posso dire di essere un prete felice, ma soprattutto gioioso. La mia gioia è essere quel che vivo e faccio tutti i giorni». Dal caffè in poi il parroco tra queste strade, vicoli, piazze e botteghe non cammina mai da solo: c’è sempre qualcuno che lo rincorre, qualcuno che lo blocca, qualcuno che si confida con lui. Non mancano nemmeno persone un po’ più sole, che magari richiedono qualche attenzione in più e una velocità ancora più rallentata. Arrivano la mattina all’apertura della chiesa e le ritrovi tutto il giorno lì vicino, fino a dopo la messa delle 19.
«La Chiesa vera», riflette don Ciro, «è quella che s’incarna e vive il Vangelo tra la gente.
Questa è la vocazione di ciascuno di noi: dovremmo chiederci sempre quanto bene avremmo potuto fare e quanto in realtà ne abbiamo fatto. Le povertà non si alleviano tanto col denaro o coi regali, ma con la vicinanza». Qualcuno confessa, non senza un pizzico di commozione, che il parroco nella sua vita rappresenta tanto.
«Tutto», azzarda addirittura qualche altro. E in effetti all’ex farmacista chiedono iniezioni a domicilio, consigli sulla salute e consulenze di ogni genere. «E anche loro», ammette don Ciro altrettanto emozionato, «sono la vita per me».