I sacerdoti svolgono compiti pastorali, ma sono sempre più spesso anche il primo riferimento per chi ha bisogno di aiuto e assistenza
I sacerdoti che nel 2024 hanno prestato il proprio servizio nelle Diocesi italiane sono stati circa 28.500, compresi 287 sacerdoti diocesani "Fidei Donum", cioé che operano come missionari nei Paesi poveri del mondo, e circa 2.500 sacerdoti anziani o malati che si trovano in regime di previdenza integrativa. Quotidianamente, i sacerdoti svolgono i propri compiti pastorali (in primis, la diffusione dell’annuncio del Vangelo e la celebrazione dei sacramenti), ma sono anche in maniera sempre più significativa e fondamentale al fianco di chi ha bisogno – indipendentemente dal “credo” – portando carità, conforto e speranza. Educano i ragazzi, offrono assistenza spirituale e concreta alle famiglie in difficoltà, agli ammalati, agli anziani soli, ai poveri e agli emarginati.
Al loro sostentamento – che va da una remunerazione minima di quasi 1.000 euro netti al mese, per un sacerdote appena ordinato, fino a circa 1.600 euro netti per un Vescovo ai limiti della pensione – provvede l’Istituto Centrale per il Sostentamento del Clero (ICSC) attraverso le risorse messe a disposizione dagli Istituti Diocesani per il Sostentamento del Clero (per il 9,2%) e in parte (87,2% pari a 389 milioni di euro) attraverso i fondi dell’8xmille.
A queste risorse si aggiunge una quota minoritaria ma significativa (quasi 8 milioni, pari all'1,8%) di erogazioni liberali deducibili. La destinazione determinante dell’8xmille al sostentamento dei sacerdoti e la gestione complessiva del sovvenire da parte dell’ICSC consente di attuare il principio guida della perequazione, cioè il meccanismo che garantisce uguaglianza di trattamento: ogni sacerdote riceve la stessa remunerazione a parità di servizio, senza distinzioni che avvantaggino – per esempio – chi opera in parrocchie “ricche” e popolose rispetto a chi opera in piccole parrocchie in aree a bassa densità di popolazione, o in contesti sociali di frontiera.
C’è la comunità di Santa Maria delle Grazie, ma anche quelle dei Santi Vittorino, Pietro e Michele in Cozzo e di San Martino in Langosco. E poi ci sono i detenuti della casa circondariale di Vercelli, di cui è cappellano. A fare da sfondo, il panorama antico ma ancora vivo e vitale delle risaie, la trama che tiene unite, in un modo o nell’altro, tutte le storie delle famiglie e delle persone di cui don Davide Besseghini accoglie le fragilità e le speranze. Un “prete tra la gente”, lo definiscono qui a Candia Lomellina, in provincia di Pavia, ma Diocesi di Vercelli, ed è una definizione che gli piace. «Sono cresciuto in una famiglia contadina», racconta timidamente don Davide, «e abbiamo imparato fin da piccoli, in casa, a lavorare e a servire.
Poi a una certa età ho incontrato l’operazione Mato Grosso, ho conosciuto i poveri più lontani, in missione. Il servire davvero è il modo giusto di amare».
Non servono grandi spiegazioni quando è la tua vita che parla per te. Giorgio, ad esempio, a Candia Lomellina fa il falegname e come tutti i suoi compaesani - sia chi è agricoltore da generazioni sia chi si occupa di altro - è innamorato della sua terra.
«È casa mia», confessa, «e non andrei mai via di qui. Ci saranno pure le zanzare, col fastidio che danno, ma non fa niente: si sta bene. Se si vuole andare in città si prende la macchina e si va in città, ma poi si ritorna nel silenzio, si sente il campanile che segna le ore anche durante la notte. Si sta troppo bene. E poi c’è don Davide che, a differenza di altri, senza farsi troppo vedere, riesce ad arrivare a incontrare tutti, a parlare con chiunque. Il parroco è anche quello, non è solo la Messa…».
La pensa come lui anche Rita, impiegata comunale, che da don Davide ha ricevuto qualcosa che è impossibile quantificare: «Quando mi sento sola e triste, a volte anche solo pensare a Gesù è sufficiente. Questo senso spirituale è qualcosa che qualcuno mi ha regalato!».