I sacerdoti svolgono compiti pastorali, ma sono sempre più spesso anche il primo riferimento per chi ha bisogno di aiuto e assistenza
I sacerdoti che nel 2019 hanno prestato il proprio servizio nelle Diocesi italiane sono stati oltre 30mila, ai quali si aggiungono circa 400 sacerdoti diocesani "Fidei Donum", cioé che operano come missionari nei Paesi poveri del mondo, e poco più di 2.800 sacerdoti anziani o malati che si trovano in regime di previdenza integrativa. Quotidianamente, i sacerdoti svolgono i propri compiti pastorali (in primis, la diffusione dell’annuncio del Vangelo e la celebrazione dei sacramenti), ma sono anche in maniera sempre più significativa e fondamentale al fianco di chi ha bisogno – indipendentemente dal “credo” – portando carità, conforto e speranza. Educano i ragazzi, offrono assistenza spirituale e concreta alle famiglie in difficoltà, agli ammalati, agli anziani soli, ai poveri e agli emarginati.
Al loro sostentamento – che va da una remunerazione minima di poco meno di 900 euro netti al mese, per un sacerdote appena ordinato, fino a circa 1.400 euro netti per un vescovo ai limiti della pensione – provvede l’Istituto Centrale per il Sostentamento del Clero (ICSC) attraverso le risorse messe a disposizione dagli Istituti Diocesani per il Sostentamento del Clero (per il l'8%) e in parte (89,4% pari a 384 milioni di euro) attraverso i fondi dell’8xmille.
A queste risorse si aggiunge una quota minoritaria ma significativa (circa 7,8 milioni, pari all’1,8%) di erogazioni liberali deducibili.
La destinazione determinante dell’8xmille al sostentamento dei sacerdoti e la gestione complessiva del sovvenire da parte dell’ICSC consente di attuare il principio guida della perequazione, cioè il meccanismo che garantisce uguaglianza di trattamento: ogni sacerdote riceve la stessa remunerazione a parità di servizio, senza distinzioni che avvantaggino – per esempio – chi opera in parrocchie “ricche” e popolose rispetto a chi opera in piccole parrocchie in aree a bassa densità di popolazione, o in contesti sociali di frontiera.
«Norcia è stata distrutta 7 volte dai terremoti. Ma non c’era memoria di uno come quello del 30 ottobre 2016». Don Marco Rufini, 52 anni, a lungo l’unico sacerdote per il paese e le sue 18 frazioni, prima che nel 2018 lo raggiungesse don Davide Tononi, al momento della scossa di magnitudo 7.4 si trovava all’aperto: «Era impossibile restare in piedi, la terra si è sollevata e mi sono ritrovato aggrappato ad un albero. Quando è finito, non avevo più davanti agli occhi Norcia, solo polvere.
Per fortuna non abbiamo avuto vittime». Per il coraggio e la dedizione verso la popolazione, dispersa per oltre 56 chilometri quadrati, con dislivelli da 400 a 1.600 metri, gli è stato assegnato un riconoscimento al Festival mondiale della creatività nella scuola, «per aver condiviso il dolore della sua gente, restando custode della spiritualità della città». Oggi don Marco abita in una casa in legno, presso il centro pastorale Papa Francesco: «Con don Davide e me ci sono anche due “patriarchi”, don Antonio Diotallevi e don Dario Dall’Orso, di 89 e 93 anni. Tutti siamo vicini alle persone, con i nostri 10 ministri straordinari dell’Eucaristia».
Il contachilometri della Panda, donata dalla Caritas, ha superato i 194 mila chilometri. Ma spesso usiamo il pullmino cofinanziato dagli amici leccesi di Galliano del Capo e dai trentini della Val di Non, utilissimo per spostare mobili e valigie di tanti sfollati. La gente vuole ai sacerdoti più bene di quel che meritiamo», dice con umiltà, «Lo sperimento tutti i giorni. E per noi preti le comunità sono la nostra forza, così come quella più grande dei donatori del sovvenire. La vita i suoi terremoti ce l’ha sempre. La nostra opera non è rifare quel che c’era prima, ma renderlo migliore».
«Siamo senza più chiese», aggiunge don Davide Tononi, bresciano 30 e qualcosa anni e una Vespa 50 Special gialla che lo porta ovunque, «perciò in questi anni abbiamo celebrato ovunque, anche all’aperto o nei capannoni. Senza chiese viviamo giorno per giorno, il sisma ci ha fatto riscoprire l’essenziale: è pieno il mondo di posti senza comunità, noi almeno abbiamo fedeli e relazioni salde anche se per ora senza mura per il culto.
Ci impegniamo ogni giorno perché la Chiesa sia una famiglia e la gente si senta a casa. Qui ci sono tanti anziani, anche in zone isolate e coi figli lontani, ma in un anno abbiamo celebrato anche 32 battesimi, segno di una forte reazione vitale».